Bernardo Sartori è nato a Falzè di Trevignano, Treviso, il 20 maggio 1897 da Francesco e da Augusta Poloni. Appena la mamma fu in grado di recarsi alla chiesa col suo bambino, lo depose sull’altare della Madonna del Carmine e disse: “Madonna ti consacro questo mio figlio, e se la mia richiesta non è presuntuosa, ti chiedo di farne un sacerdote, però un sacerdote santo”. Poi, prendendo il coraggio a due mani, aggiunse: “Piuttosto che cresca cattivo e si danni l’anima, ti chiedo di farlo morire subito, qui davanti a te.” Detto questo, chiuse gli occhi e trattenne il respiro. Il piccolo dormiva placidamente senza dare il minimo segno di volersene andare da questo mondo.

La vicenda umana di p. Sartori si svolge in tre grandi momenti. Innanzitutto la vita sana e laboriosa dei campi nel suo paese natale, dove la fede e le preghiere nutrivano ogni vicenda. Sono di questo periodo le prime lotte per la vocazione sacerdotale. Il papà era nettamente contrario per il semplice motivo che mancavano i soldi per la retta del seminario. Mentre il piccolo, ingenuamente, cercava di nutrirsi di erba “come i conigli”, la mamma, vendeva periodicamente i suoi capelli ad un rigattiere per arrotondare la cifra.

Questo primo periodo terminò con l’esperienza terribile della prima guerra mondiale, che Bernardo visse e soffrì in prima persona come soldato. Un’esperienza dura, dove approfondì la sua fede in Dio, il suo amore alla Madonna e, soprattutto, ciò che marcherà la sua vita futura e che sarà il frutto più bello della sua fede: il suo spirito di servizio per tutti, specialmente per chi soffre. Bernardo trovandosi nel pieno della battaglia, venne travolto da un torrente di sangue e di corpi fatti a pezzi. Superata la prova, mise insieme i suoi piccoli risparmi per far celebrare delle Sante Messe per quei suoi compagni più sfortunati.

Il secondo periodo è rappresentato dalla sua vocazione comboniana. Una vocazione che gli è costata la fuga notturna dal seminario, in accordo con il Rettore, per evitare le ire del papà, che non volle perdonargli questo gesto. P. Bernardo fuggì infatti dal seminario di Treviso alle 5 del mattino del 15 dicembre 1921: “Andai a congedarmi dal mio santo vescovo mons. Longhin il quale mi abbracciò, mi benedisse, mi accompagnò fino in fondo allo scalone e mi strinse al cuore dicendomi: ‘Tu non conosci ancora quanto sia impegnativa e difficile la vita religiosa: Se non puoi resistere, torna qui che il tuo vescovo ti riaprirà le braccia’.”

Bernardo ha vissuto la sua vocazione per 11 anni in Italia, sette dei quali come animatore e promotore missionario nel seminario comboniano di Troia (FG) di cui è stato il fondatore. Sette anni di lavoro intenso, non solo nella Puglia ma in tutto il Sud, che hanno lasciato una traccia vasta e duratura nel tempo. Quando si accorse che molti dei ragazzi del seminario volevano tornare alle loro case, pensò di dare loro una Mamma. E procurò una bella statua della Madonna. L’emorragia di ragazzi guarì immediatamente.

Infine, l’Africa, l’Uganda in particolare, dove spese la parte più lunga della sua vita: quasi 50 anni di lavoro. Quasi subito ci fu la seconda guerra mondiale: momenti difficili sia durante la guerra sia nell’immediato dopoguerra per le tensioni che accompagnarono la fine del colonialismo, fino all’indipendenza dell’Uganda, 9 ottobre 1962. Poi, dopo l’euforia della libertà e un periodo di vera prosperità che prometteva tempi felici per il paese, le terribili sofferenze, non solo dei missionari ma soprattutto della gente, subite sotto la dittatura militare di Idi Amin; quindi, proprio durante gli ultimi anni della sua vita, la terribile esperienza della guerra civile con la caduta del dittatore, la “liberazione” dei tanzaniani e la successiva situazione di insicurezza e di lotte intestine. Bernardo non volle ritirarsi. Ha assistito al martirio del suo popolo partecipando al suo sacrificio con tutti i suoi confratelli, soprattutto con quelli che hanno unito il loro sangue a quello di migliaia di vittime: p. Giuseppe Santi, p. Silvio dal Maso, p. Antonio Fiorante, p. Silvio Serri, p. Osmundo Bilbao e suor Liliana Rivetta sono tra quei martiri che sono caduti per il servizio della gente. Egli, fino alla fine, rimase un punto di riferimento per tutti, una certezza per la popolazione, affascinata dalla sua fede a dal suo amore alla Madonna. Come non ricordare il suo santuario di Lodonga, dedicato a Maria Sultana d’Africa?  La sua morte, avvenuta in modo misterioso nel mattino di Pasqua, il 3 aprile 1983, mentre era in adorazione davanti al tabernacolo, è stato il segno tangibile di una vita totalmente dedicata alla missione e all’ Eucaristia, sotto lo sguardo di Maria.

Missionario adoratore, con Maria

La missionarietà di p. Bernardo Sartori è sorretta da due contrafforti: la devozione all’ Eucaristia e un amore smisurato alla Madonna. Era sacerdote novello e si trovava a Brescia, quando il medico gli diagnosticò un’estesa tubercolosi in entrambi i polmoni. I superiori, affinché potesse godersi gli ultimi mesi di vita, lo mandarono a Falzè dalla mamma. I due, tutti i giorni erano davanti all’altare della Madonna del Carmine a pregarla con espressioni toccanti. P. Bernardo diceva alla mamma per consolarla: “Quando il Signore ama un anima, la fa compagna delle sue sofferenze. L’unica cosa che Gesù ha trovato di buono su questa misera terra, è stata la sofferenza: se l’è fatta sua dalla Grotta al Calvario, l’ha cantata nelle Beatitudini e ce l’ha data in eredità: ‘Chi vuol venire dietro a me prende la sua croce e mi segua.” Quando p. Bernardo tornò a Brescia per il controllo, il medico fece le lastre e sbalordì. Di tubercolosi non c’era più neppure il segno. P. Bernardo comprese che quella guarigione era un dono della Madonna. Ora toccava a lui ripagarla di un così grande regalo.

Negli anni in cui fu a Troia per l’inizio del seminario, in un ambiente di povertà estrema (si era nel dopo la prima guerra mondiale) p. Bernardo si sottopose a viaggi sfibranti in cerca di ragazzi disposti a farsi missionari, e di mezzi per mantenerli. I risultati erano scarsi e allora, alla sera, invece di andare a letto a smaltir la stanchezza, si chiudeva in chiesa e sostava davanti al tabernacolo per gran parte della notte e parlava con Gesù accompagnando le sue parole infuocate con ampi gesti delle mani. Sì, non si poteva dire che il Signore non lo capisse. E il seminario si riempì e sfornò ottimi missionari.

Quando il fratello Antonio si trovò sul letto gravemente malato, p. Bernardo gli corse accanto, lo abbracciò e s’immerse in un’intensa preghiera. In quel momento entrò il papà. I due si fissarono un istante poi caddero uno nelle braccia dell’altro. P. Bernardo riuscì solo a dire: “Caro papà”. E il papà: “Perdonami sai! Ora capisco che ho sbagliato tutto. So quanto bene hai fatto a Troia e quanto ne farai in Africa. Se vuoi partire hai già la mia benedizione”. Dopo tanti anni pace era fatta e segno di questa pacificazione fu la guarigione totale e perfetta del fratello Antonio.                                Scrisse poi p. Bernardo: “Cerchiamo di entrare nel regno della divina volontà con tutte le forze dell’anima nostra e troveremo la soluzione di tutto ciò che ci preoccupa. Aggrappiamoci stretti al Crocifisso e alle ginocchia della mamma celeste e domandiamo di poter sempre fare la volontà di Dio, nutriti dalle tribolazioni, le preghiere e le sante Comunioni, lottando nel Sacro Cuore di Gesù ed in quello più sensibile della celeste Mamma, senza stancarci, ed avremo il merito di essere salvatori di tante anime”.

Il 15 novembre 1934 p. Sartori s’imbarcava da Genova sul Crispi, insieme ai padri Angelo Abbà, Costante Franceschin, Giuseppe Cortivo e Arturo Chiozza. Le sponde d’Africa non erano più tanto lontane. Nella benedizione che impartì alla gente di Falzè prima di lasciare il paese, disse. “Questo è il giorno più bello per un missionario. Nella vita noi siamo degli apprendisti; il dolore è il nostro maestro e ricordate che il vostro battesimo, il vostro essere cristiani, vi obbliga ad essere missionari”.

P Bernardo fu destinato alla missione di Arua che si trova al Nord dell’Uganda, su di un altipiano ondulato a 1200 metri sul livello del mare, ricco di vegetazione, con clima relativamente mite. La missione contava 7000 cattolici e 4000 catecumeni. I musulmani erano moltissimi e i pagani ancora di più. “In missione abbiamo 500 catecumeni che saranno battezzati a Natale”. La giornata del Padre si presentò subito molto impegnativa. “Prego dalla 4,30 alle 7 e un quarto, poi scendo nella scuola ad insegnare l’alfabeto ai catecumeni e il resto della mattinata è riservato al catechismo. Dopo pranzo scendo ai lavori della campagna con i ragazzi e, parlando con loro, imparo sempre meglio la lingua. La vita è bella, bella, tanto bella che non faccio che ringraziare il Signore di tanto dono. È la sorte del missionario: grandi gioie e adeguati dolori”.

A proposito degli “adeguati dolori”, i primi tempi di missione di p. Bernardo furono difficilissimi. Gli stregoni, che vedevano smascherati i loro artifizi, e i musulmani ingaggiarono una lotta tremenda contro il missionario. Egli costruiva una cappella di paglia e fango e, regolarmente, veniva data alle fiamme. Una mattina, uscendo presto come il suo solito per andare in chiesa, passò per un viottolo fiancheggiato da agavi le quali, stranamente, erano tutte rivolte verso l’esterno. Esaminò il fenomeno e si accorse che le punte delle agavi erano cosparse da un veleno potentissimo. Qualcuno pensava in questo modo di eliminare il missionario, ma una mano misteriosa spostò le agavi verso l’esterno in modo che nessuna potesse pungerlo.

I momenti più belli per p. Sartori erano quelli in cui, con la teca al collo, con dentro l’Eucaristia, a bordo della sua moto o a piedi, andava nei villaggi a visitare gli ammalati e a confortarli con i sacramenti. Le conversioni furono moltissime. Alcuni parevano aver atteso l’arrivo del missionario per lasciare questa terra in pace con Dio. Queste grazie di conversione erano ottenute dalla continua preghiera che accompagnava i passi del missionario.

Quando il governo inglese aprì le porte del Sudan Meridionale a tutti quelli che professavano la religione musulmana, e li invitava ad occupare il Nord Uganda (era un modo per premiare quei soldati neri che avevano combattuto accanto agli inglesi) il pericolo di un’islamizzazione totale del Nord Uganda si fece concreto. P. Bernardo, per frenare quell’ ondata islamica che avanzava, cominciò a costruire chiese-santuario alla Madonna. Ne costruì una decina di grandi e costellò il territorio di cappelle perché l’Eucaristia si moltiplicasse nei villaggi. “Bisogna che Cristo, pane di vita, sia più vicino possibile al suo popolo per nutrirlo, irrobustirlo, trasformarlo”. Tra le grandi chiese ricordiamo il santuario dedicato alla Mediatrice di Lodonga che poi è stata elevata al grado di basilica minore (come Loreto). Quasi per miracolo l’ondata islamica si arrestò. Per l’inaugurazione della Basilica chiese alla Madonna la conversione di almeno cento musulmani: ne ebbe duecento. Rimproverandosi, scrisse: “Se ne avessi domandati 2000 la Madonna me li avrebbe dati, ma la mia fede è stata troppo debole”. “Sono qui tra croci e spine ma la Madonna è al mio fianco e con lei non temo nulla”

Aveva contratto una grande amicizia con un capo tribù, un certo Mussa, di religione musulmana. Fissando il Padre negli occhi, un giorno Mussa disse: “Abuna, noi ci vogliamo tanto bene che non possiamo più separarci, nemmeno nell’ altra vita. Fatti musulmano, così vivremo insieme nel paradiso di Allah”. E p. Bernardo: “Non potresti farti tu cattolico per venire con me nel paradiso dei cristiani?”. “Accetto: chi di noi due morirà per primo, chiamerà l’altro”. “Dopo alcuni mesi – scrive p. Bernardo – vennero a chiamarmi: il grande capo Mussa era stato avvelenato. Egli stesso mandò la sua macchina con l’autista per prelevarmi. Era il 9 luglio 1939. Mi precipitai subito da lui e lo trovai che sputava sangue. La morte era imminente. ‘Ti ricordi – mi disse – della promessa chi ci siamo fatta? Allah ha stabilito che io morissi per primo. Istruiscimi nella tua religione e dammi il battesimo’. Rimasi con lui alcune ore e, appena lo vidi preparato, gli dissi.’Ecco, Mussa, è giunta l’ora, i Cieli stanno per aprirsi anche per te’. Fuori, attorno alla capanna, una folla di più di 2.000 persone, sudditi del grande capo, attendeva in silenzio. Quando Mussa fece annunciare la sua decisione di ricevere il battesimo e di morire nella fede cattolica, si levò un forte mormorio di riprovazione. Io uscii indossando la più bella stola che avevo e dissi che bisognava rispettare la volontà di un grande. Tutti ammutolirono. Con mano tremante, commosso, versai l’acqua rigeneratrice dicendo: ‘Mariano, io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. ‘Padre – disse il nuovo cristiano con un filo di voce – ti consegno mio figlio di cinque anni. Educalo nella nostra religione’. L’esempio del capo fu contagioso e le conversioni si moltiplicarono a ritmo serrato”.

La guerra in Uganda fu una grande tribolazione anche per p. Sartori. Messo al muro con le braccia in croce e il fucile puntato al petto, aspettò il suo momento. Ma poi il soldato si pentì e abbassò l’arma. Dovette anche fuggire in Congo con la sua gente che abbandonava i villaggi in preda al terrore. Le missioni dove aveva lavorato furono tra le più tribolate. Scrisse nel dicembre 1981: “A Otumbari c’è la fame, la miseria, il terrore e l’interminabile guerriglia. E così nelle altre missioni di Lodonga, Koboko e Arivu. In quest’ultima la chiesa è stata profanata, divelta la porta, spaccato il tabernacolo e sparse per terra le particole consacrate. Tuttavia in queste quattro missioni i cristiani raggiungono le centomila persone. Il loro fervore è così vivo che per ricevere i sacramenti fanno dei sacrifici che commuovono. Ora tanti vengono uccisi, ma il pensiero del paradiso li infervora. Sappiamo che, dopo l’esecuzione del più Giusto, bisogna che i suoi seguaci siano trattati alla stessa maniera. Dio si china con tanta pietà sul peccatore, ma domanda le sofferenze dei buoni. I peccatori sono perdonati perché i loro salvatori pagano il conto. La sofferenza è una rassomiglianza con Cristo, una sconvolgente elezione da parte di Dio. Il più grande amore che Dio possa manifestarci è quello di chiamarci a condividere la sua sofferenza, di vederci vicini a lui su quel Calvario ove coloro che vogliono veramente seguirlo partecipano assai da vicino alla sua opera di salvezza del mondo”

P. Sartori si trovava nella missione di Ombacì, e mancavano 14 giorni all’ incontro col Signore, quando prese la penna in mano per scrivere alla sorella Maria quella che sarebbe stata la sua ultima lettera ai parenti. Il Padre passava notti di sofferenza, che egli definiva “meravigliose”; sentiva il paradiso vicino e già quasi ci viveva; la morte non era altro che la chiave d’oro per entrare nel possesso della Santissima Trinità, nella contemplazione della Madonna “che pare sia qui”. “Dormo per un due-tre ore al massimo e poi mi immagino di avere il paradiso vicino e allora mi infervoro e prego con tanta gioia le Tre Divine Persone, la Vergine, san Giuseppe, gli Angeli e le anime dei nostri cari morti e anche dei vivi. Un rosario prima di mezzanotte e uno subito dopo per salutare il nuovo giorno. Poi il fiato non viene e allora condisco con un po’ di penitenza la preghiera, e sono contento. Ormai non ho più attacchi alla vita e gioisco di poterla consumare tra i miei Neri”. Il Sabato santo aveva confessato tutto il giorno fino a sera tardi e chiuse la giornata in serena allegria con i confratelli. Al gruppo di chierichetti che lui stesso curava perché le cerimonie fossero sempre solenni e dignitose, disse che il giorno dopo, giorno di Pasqua, egli sarebbe andato in paradiso.

“Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, era quello un grande sabato”, così cantava la liturgia di quel giorno di Pasqua 3 aprile 1983, p. Bernardo si recò come ogni giorno ad adorare il Signore davanti al tabernacolo. Aveva la vecchia lanterna a petrolio in mano, che depose sull’ altare perché il debole chiarore illuminasse la porticina dorata. Quella mattina non era andato nella chiesa grande, ma nella cappella del Collegio. Essendo gli studenti in vacanza, poteva starsene da solo ad effondere la pienezza del suo cuore a Cristo risorto. Si compose sui gradini, probabilmente si prostrò con la faccia a terra, le braccia aperte e la corona nella mano. Era uscito di stanza verso le quattro. In quell’ atteggiamento di adorazione fu colto da embolia mortale. Verso le 7.30 fr. Giovanni Bonafini passò casualmente dalla cappella e vide p. Sartori ben disteso sul gradino, con le braccia incrociate sul petto e la veste talare perfettamente tirata fin sulle punte delle scarpe. Chi lo aveva composto così bene? Il pensiero corse subito alla Madonna. Insieme alla Madonna, che al mattino di Pasqua era andata a vedere la tomba del Figlio, anche p. Bernardo incontrò per primo il suo Signore nello sfolgorio della risurrezione e con lui andò a celebrare la più bella mattina della sua vita.

Lorenzo Gaiga